Il piccolo Hans - anno VIII - n. 31 - luglio-settembre 1981
tiere bruciano, l'io e il tu non individuano più due corpi separati. Ma solo nel sogno, perché: io e te non vivremo mai in:sieme, in una casa comune, corpo aocanto corpo, a una mensa comune, ·mai, nem meno nella ·stessa città... (p. 207 L.M.) Non si può, in realtà, condividere nulla: c'è solo ìl dividere con l'altro la separazione - dall'altro, -la solitu dine. C'è una frontiera tra l'io e l'altro, come tra Vienna e Praga c'è «il mare co'n le sue onde immense, a perdita d'occhio», insuperabile. La lettera è _ «magia» anche in questo : - che mette di fronte, in dialogo, due «estranei», i cui volti sono sol tanto «carta da lettera coperta di scrittura». Essendo il luogo di questa metamorfosi, la lettera è violenza: fa del corpo un segno, e là dove prometteva dialogo sem plicemente offre lo spazio di un monologo, una «imper fezione solitaria». E' infatti un conta!tto con fantasmi, e non ,solo col fantasma del -destinatario, ma ,anche co[ proprio... (rp. 227 L.M.) E' in fondo «menzogna», e solo «la nostalgia è ve ra» - quella la lettera non la può placare; anzi la esal ta, la intensifica. . Perché se la lettera può apparire un antidoto alla solitudine, essa non è in realtà che una finzione di contatto. Se all'inizio la lettera protegge Kaf ka, facendosi sua ancella e compiendo in sua vece quel viaggio che lui non può compiere di persona («non vo glio, non voglio venire a Vienna»); se .è là «casa», la « vera patria» in cui ripararsi («la cara, · fedele, ailegra lettera portatrice di felicità», la «compagna» che allevia durante la «·sospensio�e suicida» i n cui Kafka vive); inizia, con la lettera citata, in cui al posto di Milena com pare la testa di Medusa, un rovesciamento. E' l'ambiva- 169
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