Il piccolo Hans - anno VIII - n. 31 - luglio-settembre 1981

Io non voglio (Milena mi aiuti! Comprenda più cli quanto non dico!) non voglio (non è ba:Ibettio) venire a Vienna perché non .sopporterei spi·ritualmente �o sforzo... (p. 60 L.M. ) Lontano, v1cmo: Fort�Da. Kafka deve regolare la di­ stanza. Deve tenersi nell'in-d�cisione: che prolunga nel calcolo lungo e tortuoso di quale treno, a quale ora, e dove, . e come incontrarsi. E' un problema di confine: e . di ambivalenza da risolvere. Se viaggiasse K. risolverebbe la sua angoscia, la ìi­ quiderebbe: il viaggio scioglierebbe nel suo percorso e nella sua trama l'angoscia del di-fuori a risolvere la quale il viaggio è propriamente chiamato: Accadendo il viaggio costruisce difatti un dominio: riscatta l'estraneità attra­ versandola, e misurandola la riporta ad una geometria. Catturato nel tempo e nella geografia del viaggio, il di­ fuori viene sottratto all'angoscia della sua infinità, quel­ la infinità del di-fuori che è ciò · che più propriamente la creatura non può sostenere. Ma K. non è un viaggiatore. Non è Robinson, come lui stesso riconobbe. Proprio perché non è viaggiatore tuttavia, Kafka è l'uomo del di-fuori, e l'abitare è il suo problema. L'uomo dell'avventura, l'uomo che viaggia, non è mai fuori del mondo: c'è al contrario appartenenza in quel­ l'andare, perché quell'andare è un prendere possesso. Non importa che si abbia una meta, che l'andare sia frutto o meno di una decisione. La decisione del viaggio non appartiene al discorso della scelta, e della volontà: ma a quello della separazione. Decisione è qui strapparsi via, tagliare, atto che la parola porta (decido, da de e caedo) da qui fino all'altra parola che insidia K., la parola tem­ po, anch'essa legata nella radice tem a témn6, tagliare. La decisione che il viaggio implica è dunque un ta­ gliarsi via dalla matrice, la madre-patria, lì dove si è 163

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