Il piccolo Hans - anno VIII - n. 31 - luglio-settembre 1981

universo, �ei suoi propri accadimenti. Ci è parso che un motivo leopardiano si svolgesse, e formasse oggetti e scenari, in questo universo; ma il motivo che seguivamo segnava le pagine con un'asp�ezza singolare, era - nella cadenza sommessa, uniforme e nelle fonde vibrazioni del testo - una traccia di aridità estrema, subito asse­ condata dalla nostra coscienza, dalla stessa aridità che soffriamo nel quotidiano, nel sentimento odierno della morte: non erano solo la povertà di illusioni (la povertà da spartire), la minaccia e l'esecrazione dei sogni della ragione, erano anche alcune cose, alcuni aspetti della natura, come si vede in questo esempio: « nel tempo in cui non si era visto nient'altro che distruzioni e ,solitudini, su quella terra di ghiaccio e polvere sì era sparsa la follia di costruire città di Dio, città perfette, tempi armo­ niosi» (51). Anche R. pensa che la depressione viene « dall'intol­ lerabile divario fra lo sperato e il vissuto» (139). Ma il suo racconto, anche nella decifrazione dell'errore, nutre una fede nella ragione, sulla . quale C. non si pronuncia. Qui si riconoscono precise differenze. Quegli uomini che sapevano vivere di poco, che « avevano acct::so i fuo­ chi là dove · il ghiaccio mordeva la terra», che avevano scovato i semi nel fango, sapevano anche che l'esperien_ za che era toccata loro in sorte non si poteva raccon­ tare, e facevano ragionamenti che tutti i principi della casa e gli storici aulici e i moralisti non erano capaci di fare: quegli uomini « avevano elaborato le regole mi­ nime dell'esistenza, e di esse vivevano, non perché in­ colti, ma perché immensamente esperti»; e si avventu­ ravano sul « terreno secco e duro» della quotidianità, che è l'unica esperienza comunicabile (C., 103). Ma il racconto non dice se questa tenace ragione sia salvezza; anzi: « Le catastrofi, solo le catastrofi potevano essere 118

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