Il piccolo Hans - anno VIII - n. 31 - luglio-settembre 1981

questa scrittura ha le sue «madeleines»(«le madeleines di certi momenti, un passare dall'ombra al sole, un ogget­ to senza importanza su cui diciotto anni fa si era posato uno sguardo ed era rimasto per sempre» 140). Si può sospettare che la lettera del racconto di Otta­ vio Cecchi in questo luogo non possa essere rispettata. Ha qualche peso l'impressione di non trovarsi, nel testo, in balìa della propria lettura: proprio questa mancanza di abbandono può ingenerare l'«arbitraria disparità», di cui parla Barthes, tra il linguaggio del racconto e il lin­ guaggio del critico. Ma l'esiguità dello spazio, dello stesso regime della lettura, si può adattare ad elementi del te­ sto, e, come ogni orditura d'analisi e di discorso che ad un tempo, negli stessi segni, risponda di sé e dell'opera, può situarsi lontano dalla parola vuota e da quella reifi­ cante, disporre un modo coerente(che tenga) di cercare i simboli del racconto, di parlare il suo linguaggio. Voglio dire che l'intreccio che tento dovrebbe essere il frammen­ to di una lettura impregiudicata, di cui ogni volta si pen­ si e si lasci il linguaggio immune da arbitri, integro nella propria libertà e nelle proprie condizioni, delle quali la prima è il rispetto delle condizioni simboliche dell'opera. Certo, il libro di C., portato e aperto qui, dove s'è già pronunciata la memoria di R. e ha tracciato in duri ele­ menti il segno di una differenza - «un'unità di vita e di luoghi» di cui essa è priva-, deve affrontare una luce diretta di figure e parole, essere letto, per così dire, in ter­ mini nudi e crudi, senza gusto e svolgimento di bordo cul­ turale. E' la lettura che intendo azzardare, per frammenti - e avrò ragione di ritenerla legittima, se apparterrà, in ogni tratto, all'interprete e al testo, pur restando dispo­ nibile, l'uno, e aperto, l'altro, a innumerevoli letture. Il racconto di C. porta con sé e mantiene dentro di sé tutto quello che si deve apprendere e decifrare. Se è para- 100

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