Il piccolo Hans - anno VIII - n. 30 - aprile-giugno 1981

del gioco, e soprattutto (anche per l'obbligo di selezione che imponeva) non mi sembrò mai veramente una cosa per scrivere. La magìa e la scrittura mi parevano del tutto separate, in quella macchinetta stupida. Utile solo per appunti di brevissima durata e gittata e uso (quaì è l'appunto che si giunge a prendere sapendo davvero dì poterlo buttare o cancellare tra un attimo?), divertente per il gioco dell'apparire/sparire: un gioco, però, in cui ciò che si scriveva mi sembrava totalmente irrilevante ri _ spetto al gioco stesso, e anche come lo si scriveva era totalmente irrilevante. Non mi affidai mai al wunder­ block, ci scrivevo sopra frasi e parole senza senso, come capita di fare (o mi capita di fare) quando si prova una macchina da scrivere o un nastro. Solo a pensarci adesso mi rendo conto di quanto mi disturbasse la cosa, di quanto mi infastidisse quel collegamento, che certo avvertivo «sbagliato», tra scrivere e « giocare a can­ cellare magicamente». Come magìa, decisamente, pre­ ferii" la lanterna magica, quella da cui entravano e usci­ vano, apparivano e sparivano i ginn gli spiriti e . più tardi le immagini di cowboys e indiani, John Wayne e Marylin. Credo tuttavia che a disturbarmi fosse poi precisa­ mente ciò che a Freud interesserà come possibile im­ magine analogica dell'appar;: :i.to psichico. Quel lavoro che si svolgeva sotto (non lo sapevo, in partenza, ma lo capii non appena cominciai a usare le carte_ carbone), sotto la - superficie, nascosto a me e incontrollabile da me fino a farmi sentire « apparsa da altrove» la mia stessa scrittura, quasi fosse sempre un mane tekel pha­ res (spingo fino a credere di ricordarmi che una volta - dato che mi piacevano molto e molto mi aveva im­ pressionato la storia del convito biblico in cui appari­ vano / - anche quelle parole avevo scritto tra altre in­ sensatezze sul foglio magico); quel sapere che - sotto - qualcosa restava, probabilmente rintracciabile, e che · 66