Il piccolo Hans - anno VIII - n. 30 - aprile-giugno 1981

coanalisi non si _ applica che come trattamento, e per­ tanto a un soggetto che parla ed ascolta». Cercherò di evitare, in questa mia comunicazione, un tale atteggiamento, .limitandomi a muovermi all'in­ terno dei testi ' proustiani, e particolarmente della Ri­ cerca del tempo perduto. Sarò fedele, almeno in ciò, alle riserve che in maniera così perentoria lo stesso Proust avanzava - in aspra polemica con Sainte-Beu­ ve - il quale riteneva che per giudicare un libro che non fosse « un trattato di geometria pura» occorresse chiedersi, dell'autore: « Che cosa pensava in fatto di religione? -Come reagiva allo spettacolo della natura? Come si comportava in fatto di donne o di denaro? Era ricco o povero? Qua1 era il suo regime di vita, la sua esistenza di tutti i giorni? E, infine, qual era il suo vizio o il suo punto -debole?» Il fatto si è, controbatteva Proust, « che un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi». (Contro Sainte-Beuve, Torino, Einaudi, ' 1974, p. 16) E aggiungeva: « Invero, al pub­ blico, si dà quel che si è scritto in solitudine, per se stessi: la propria opera... Mentre ciò che si dà all'inti­ mità - ossia alla conversazione... - e alle produzioni destinate. agli intimi [le lettere] sono l'opera di un altro io più esterno, non dell'io profondo che possiamo ritro­ vare solo astraendo dagli altri, e dall'io che conosce gli altri: quell'io rimasto in attesa mentre c'intrattenevamo con gli altri, che sentiamo chiaramente esser l'unico reale, e per il quale soltanto gli artisti finiscono col vivere: come per un dio ch'essi lasciano sempre meno e al quale hanno sacrificato una vita destinata solo a onorarlo» (ivi, p. 19). Posizione, questa di Proust, certo « estremistica » e ' polemica, se è vero come è vero che il rapporto dell'uo­ mo con la lettera - altra espressione lacaniana - fa senza dubbio problema, tanto da indurre Lacan ad as- 39

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