Il piccolo Hans - anno VIII - n. 29 - gennaio-marzo 1981

teressarsi a questa Cosa che Freud ha chiamato _ psicoa- nalisi e che, come tutti sanno, non ha a che fare con le figure ma con la parola, cioè con la sfera che Lacan ha chiamato del simbolico o del significante, si colloca in realtà nella dimensione del segno, nella dimensione del di-segno. Non è per orientarsi in uria « foresta di simboli » che ci si accosta alla psicoanalisi, ma per uscire da una « fo­ resta di segni»: una foresta che come la Sicilia di Buz­ zati è popolata da una pullulante presenza animale. L'accesso al simbolico, a cui Lacan riconduce l'evo­ luzione dell'analisi, èl correlativo infatti a una riduzione della varietà animàle dei segni. Da ciò che si colloca all'inizio di un'analisi, i colloqui preliminari, a ciò che si colloca al suo margine estremo, i controlli cui si sottopone il paziente che muta la sua pelle in quella dell'analista, si svòlge un processo che pos­ siamo descrivere come un processo di assorbimento dei tic. Che cos'è un tic? Il tic, come tutti comprendiamo, è u�a manifestazione spontanea, incontrollabile, che ci tra­ disce. Ci tradisce però in un modo diverso dal lapsus perché il lapsus spezza la catena intenzionale del discorso che vogliamo tenere ma sep.za annientare la nostra realtà di esseri parlanti. Il tic invece è un tradimento più grave, un tradimento assoluto della parola che ci fa precipitare nel vortice parossistico della pura reazione animale, nel marasma di espressioni che non hanno più niente di lin­ guistico, che non interpellano la psicologia, ma la neu­ rologia. Un tic è qualcosa di terribilmente refrattario. Uno psicoanalista che se ne è occupato con un certo acume, Fer�nczi, nota che può passare tranquillamente attraver­ so tutto il corso di un'analisi senza propq_rsi mai come un problema da risolvere, come un'enigma da interpre­ tare, senza entrare mai nei percorsi delle associazioni. 111

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