Il piccolo Hans - anno VIII - n. 29 - gennaio-marzo 1981

la fine della filosofia; ed ha tutti i tratti dell'estraneità che vuole essere riconosciuta, della distanza che attende l'ascolto, della sopravvivenza che parla della vita. Ma an­ che sulle proprie immagini, · tutte convergenti su queJla «singolarità» per la quale i cittadini di Nubiana lo odia­ no, Ottonieri getta uno sguardo distante. La sua singo­ larità non ha apparenze, non è affidata a un costume ' diverso '; consiste soltanto nella differenza di rapporto che istituisce col piacere: « Fu odiato comunemente da' suoi dttadini, perché parve prendere poco piacere di mol­ te cose c�e sogliono essere amate e cercate assai dalla .. maggior parte degli uomini». Il piacere è il luogo del­ l'unica profonda diversità; il rapporto col piacere defi­ nisce un uomo, mette in gioco il suo pensiero. Perché col piacere è in gioco il corpo. « E il corpo è l'uomo», dirà Tristano. Dietro · questa differ , enza nel rapportarsi al piacere ci sono le leopardiane meditazioni sul piacere, che cono­ scono lo scarto permanente tra desiderio e piacere, l'im­ possibilità dell'esperienza del piacere, la materialità del desiderio e il suo restare vuoto dinanzi al vorticoso pro­ getto di risposta al desiderio su cui è costruita la so­ cietà ' civile '. La biblioteca di Ottonieri è la biblioteca di Leopardi, ma sottoposta ad una scelta che s'addice al personaggio, 1.!_e ritaglia il ritratto, ne definisce i modi del discorso. Le questioni poste ad Ottonieri dai suoi. interlocutori at­ tengono tutte ai temi classici della « filosofia morale», ma con una penetrazione nei meccanismi dei rapporti quotidiani e con una difesa dalle generalizzazio�i e dalle valorizzazioni proprie dell'autore di« essais» e dello scrit­ tore di« pensées». Osservazioni sui sensi, considerazioni sul piacere, definizioni dello stato di irresolutezza, rifles_ sioni sull'egoismo, sulla moda, sullo stato dellavecchiaia, sul rapporto tra ozio e negozio, sulla memoria, sulla for­ tuna, sulla compassione, · sull'amicizia, sulla mediocrità, 101

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