Il piccolo Hans - VII - n. 28 - ottobre-dicembre 1980

rapporto realtà-verità, e a quel disegno composito, a quella «protesi», a quella «figura» che la storia del­ l'uomo dei lupi è andata chiarendo e completando ai no­ stri occhi. Vi abbiamo accennato, alla fine, la connessione tra disegno e destino, che pone la questione della fine dell'analisi anche rispetto all'arte, dove per questa, tra dessein e destin, la propria possibilità si gioca in una si­ tuazione simile a quella della fine dell'analisi, quando cioé né il destino appare più in posizione dominante, quando cioè si rifiuta la tentazione di scrivere destino, né il disegno, ed è questo in fondo che distingue la vera avanguardia dalla contraffazione della attualità, rifiuta più di contenere da qualche parte, come la soluzione del - caso df paranoia della paziente di Freud, o quella del caso dell'uomo dei lupi, cui abbiamo cercato di giungere, un errore storico. Questo - breve richiamo al mio lavoro di questi ultimi anni, con la prospettiva del seminario attualmente tenu­ to da Finzi sulla «fine dell'analisi» appunto, può dire qualcosa del perché, proprio a questo punto, - si colloca un numero del Piccolo Hans dedicato interamente, salvo lo studio di Sergio Finzi a rappresentare l'aggancio, alla scuola ungherese. Abbiamo più volte pubblicato contri­ buti di Ivan F6nagy che da quella scuola prç)Viene. Quelli che qui raccogliamo, di Hermann, Binét, Vatga, Marcsek­ Klaniczay, Székacs, Nemes, Rajka, Hardi, Barta, Gera, Hubay, sono, ad eccezione del testo di Agnes Binét, che ha peraltro curato la «collezione» degli scritti, contribu­ ti inediti e originali per il Piccolo Hans, a sottolineare un interesse reciproco non casuale. Dall'analisi di una serie di casi clinici che gli psicoanalisti ungheresi ci offrono, emergono infatti temi come lo sp<1-2io, la musica, la voce, l'aggrappamento, cari alla ricerca teorica della nostra rivista. D'altra parte, da una pubblicazone contempora­ nea al seminario sulla fine dell'analisi, questi scritti pos- 6

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