Il piccolo Hans - VII - n. 28 - ottobre-dicembre 1980
Van Biper (1942) presume presso i balbuzienti la de bolezza del sistema nervoso centrale e una « costituzio ne disfemica ». Seeman (1959) vede nella balbuzie una turba funzio nale intervenuta nel sistema striato sotto l'effetto di for ti emozioni. Froeschels (1948) condivide essenzialmente l'opinione somatogenetica, ma considera il carattere spasmodico della balbuzie quale un elemento psichico, che egli spiega attraverso gli sforzi coscienti del bambino per vincere la balbuzie, che conducono a un iperfunzion�ento dell'ar ticolazione. Barbara (1960) classifica la balbuzie tra le malattie psicosomatiche. Un altro gruppo di studiosi considera la balbuzie come un sintomo di inibizione che appare di fronte alla parola come riflesso condizionato. Sheehan (1958) sottolinea che l'inibizione è il risultato di un conflitto che ha come base una rivalità fra tendenze antagoniste simultaneamente presenti: « Io voglio parla re - io non voglio parlare ». Le forze inibenti si ricondu cono, a causa del condizionamento, a �alune situazioni di scacco. Johnson (1956) trova che il conflitto sorge tra il de siderio di parlare da un lato e lo sforzo impiegato per re primere la balbuzie dall'altro. La balbuzie della prima in fanzia non sarebbe altro che una degenerazione delle dif ficoltà verbali (non-fluency) iniziali. Se l'ambiente del bambino rèagisce male, il bambino perde fiducia in se stesso e teme in seguito di non poter soddisfare l'atten zione esagerata dei genitori. Gli autori classici della psicoanalisi affrontano il pro blema della balbuzie attraverso l'analisi dei malati adulti, come un fenomeno psiconevrotico legato a disturbi dello sviluppo degli istinti. Freud non si è occupato della balbuzie sul piano teo rico. Nel 1895 egli ha descritto il _ caso di Emmy von N., 105
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