Il piccolo Hans - VII - n. 27 - luglio-settembre 1980

matematici rispetto alle impostazioni logicizzanti di De­ dekind, Cantor, Rus,sell, FI1ege che, a loro giudizio, cor­ revano il rischio di assumere come strutture matemati­ che queHe che erano, tutt'al più ,strutture logiche, « per­ dendo contatto con il terreno saldo della matematica » come diceva Broruwer. La matemaHca è stata messa così in borghese, ad un contatto più dir·etto con le situazioni della nostra vita, come un complesso di tecniche e di procedure con le quali vengono introdott-e nuove estensioni gram­ maticali che non sussi,stevano prima di es , sere costruite. In questo senso, 1e proposii2)ioni matematiche sono ra­ mificate nei nostri differenti interessi, nei differenti modi nei qua!li possiamo trattare con le circostanze della nostra esperienza. Se ,la matemati:oa è una certezza, ciò allora significherà che essa è urna « certezza vivente», connessa al modo in cui essa è fatta valere entro una comunità tenuta insieme dal sapere e dal linguaggio: le proposizioni matema t iche si distinguono dalle pro­ posizioni empiriche e da quelle delle scienze naturali perché le prime, a diffìeren2)a delle seconde, si intende che valgano senza eccezioni, in connessione al modo in oui siamo stati addestrati ad adoperarle, con eser­ ci2Ji, con regole inesorabili e spietate 11• La matematica, come diranno Mach e più tardi Wittgenstein via Brou­ wer, è « la sua propria applicazione»: ,è il suo stesso operaire che fa fede di ,sé, non 1a sua conformità ad un ideale di verità: anziché ,dfre: · è vero che · da questo se­ gue quello, diremo: da questo segue quello; cioè gli uomini, fanno così, non potendosi andare al di là del suo operare che è infondato, e che in quanto infondato ri- . sulta inattaccabile. Quando, di fronte a proposizioni matematiche o a propos i iziorni fisiche, ho creduto di poterle ricondurre ad una struttura di ,intelligibilità più profonda, la mia pretesa comprensione non potrebbe 46

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