Il piccolo Hans - VII - n. 27 - luglio-settembre 1980

pensato a questi argomenti con l'entusiasmo maligno di chi immagina di avere in mano il colpo segreto e riso­ lutivo. Mi trovo ridicolo se penso al mio scacco matto fiilosofico. Eppure questo gesto professorale e infantile · rispondeva certamente a una rabbia sotterranea che do­ veva darmi il ricorso all'evidenza: come di un ilare pri­ vilegio e un'allegra spensierata certezza introdotta nel la­ bi11into della filosofia. Niente di meno appropriato per quanto riguarda Husserl. Le pagine di Desanti nella Philosophie silencieuse sono molto chiare: Husserl apparteneva a quella razza filosofica che per tutta la vita cerca il fondamento. Del resto aveva cominciato proprio così al tempo della gran­ de controversia sui fondamenti della matematica. In questa rincorsa a:l fondamento c'è un « sempre più in­ dietro » o un « sempI'e più profondo » nel quale si pos­ sono legger,e tutte le condizioni di ciò che viene pro­ dotto nel ·lavoro teorico. Una cosa del genere costa un enorme sforzo di linguaggio perché bisogna creare la cont • inuità tra la geografia del fondamento e quella del­ le cose come sono. E Husse11l conosceva sia il linguag­ gio della fenomenologia, che produceva, sia il linguag­ gio della matematica e della logica. Ma non era ,questo Husserl, anche se permaneva una traccia del desiderio di fondamento, a entrare nel la­ voro di P •aci che aveva, e aveva sempre avuto, una ' sua violenza creativa nell'accostarsi alle filosofie che poi conduceva, per un certo periodo, 1 a una ,ripetizione no­ momani-aca su un registro relativamente arbitrario. In questo cerchio c'era un continuo gioco ·di rimandi tra l'autore e l'interprete, tra il testo e il commento dove la saldaturn era data dal fatto che l'interprete cono­ sceva le « vere ragioni » del suo autore. Come le cono­ sceva non era facilmente esplicitabile attraverso forme organizzate di sapere. n commentatore erigeva la com­ petenza te . stuale a una sua prerogativa, quasi che il gioco 206

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