Il piccolo Hans - VII - n. 27 - luglio-settembre 1980

E _nel pensiero di Wittgenstein la padronanza di un criterio di identità è inseparabilmente legata alla com­ prensione di una regola per l'uso del nome (vedi - per esempio le Ricerche, 225). Di qui, la sua concezione è che un nome non può essere introdotto con l'ostensio­ ne a meno che il contesto basti all'introduzione, ad ope­ ra dell'ostensione, di una regola per l'uso del nome. L'Argomento del Linguaggio Privato è il naturale ri­ sultato della combinazione di questa tesi sulla defini­ zione ostensiva dei nomi con ciò che Wittgenstein ha da dire sulle regole, perché egli sostiene: « 202. Per questo « seguire la regola » è una prassi. E credere di seguire una regola non è seguire la regola. E perciò non si può seguire una regola privatim: al­ trimenti credere di seguire la regola sarebbe la stessa cosa che seguire la regola». Questo è il principio decisivo per la riuscita dell'Ar­ gomento del Linguaggio Privato: che le regole esistono solo dove c'è una prassi di qualche tipo - esse possono esistere solo in una dimensione pubblica. La . via che conduce a questo principio dì grande por­ tata ha qualcosa in comune con l'argomento della se­ conda analogia di Kant, perché la questione che preoc­ cupa Wittgenstein è la questione di come una regola possa determinare un'azione, determinare che cosa è corretto e che cosa è scorretto o mostrare che cosa deve essere fatto o che cosa deve essere così. Come le regole in generale, e le regole del linguaggio in particolare, a­ quistano la loro forza normativa? La risposta di Wittgen­ stein · è che, in questo caso, si può soltanto pensare a una forza normativa di determinazione se ciò che deter­ mina in che consiste l'aver seguito la regola sia indipen­ te dal soggetto , agente e dai suoi processi mentali. Egli sostiene che se non fosse così e se fosse l'interpretazione del soggetto della regola (il comando indirizzato a se stesso) ad essere cruciale, qualsiasi e ogni azione po- 129

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