Il piccolo Hans - VII - n. 27 - luglio-settembre 1980
che tale definizione ostensiva privata è impossibile e che se vi fossero sensazioni strettamente private, esse non potrebbero essere denominate. Così non si potrebbe sviluppare, neanche per il ,proprio uso, una lingua che descriva queste sensazioni. Nella misura in · cui gli og getti sono proprio quelle cose che possono essere i de notati dei nomi, ne conseguirebbe anche che le sensazio- , ni strettamente private non sono oggetti. Ad ogni modo, l'accettazione di queste conclusioni riposa sull'accetta zione di determinati principi assunti nell'argomento. Il primo di questi riguarda i « nomi» ed è menziona to nel 257 quando Wittgenstein dice: « Si dimentica che molte cose . devono già essere pronte nel linguaggio · perché il puro denominare abbia un senso». L'argo mentazione all'inizio delle Ricerche si proponeva di mo strare che queste « molte cose» sono richieste se mai la definizione ostensiva debba aver successo. L'Argomen to del Linguaggio Privato .funziona mostrando che le mol te cose richieste non possono essere fornite per le sen sazioni strettamente private. Il presupposto è che si deve già essere padroni di una lingua per capire una definizione ostensiva, perché si deve sapere come fun ziona un nome in una lingua per sapere che cosa l'osten sione intende raggiungere (vedi 30). « 49. Col denominare una cosa, non si è fatto ancora nulla. Essa non ha. nemmeno un nome tranne che nel gioco linguistico. Questo era ciò che Frege intendeva, quando diceva che una parola ha significato solo come- parte di una proposizione ». Ora quando Frege diceva questo ( Grundlagen § 60 e § 62) egli diceva anche che ciò che era necessario per l'introduzione di nomi era stabilire un criterio d'identità. « Se noi . dobbiamo usare il simbolo a per indicare un oggetto, dobbiamo avere un criterio per indicare in tutti i casi se b è la stessa cosa di a, anche se non è �em pre in nostro potere applicare questo criterio». 128
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