Il piccolo Hans - anno VII - n.26 - aprile-giugno 1980
Ad esempio l'incipit: «Il romanzo comincia in una sta zione ferroviaria, sbuffa una locomotiva, uno sfiatare di stantuffo copre l'apertura del capitolo, una nuvola di fumo nasconde parte del primo capoverso». Come dire? La ,realtà referenziale sconfina nello stesso pro cesso di significazione. Tutto è mescolato. E quel che è ancor,a più interessante è che la stessa _logica applicata nel dettaglio di una frase struttura anche la sintassi dei capitoli, per cui aLromanzo da leggere si sovrappone di continuo quello da vivere e viceversa. D'altra parte, e perché no? La letteratura non è forse un repertorio di modelli di comportamento? La letturn non è forse un'esperienza di vita? La lettura è una tacita contami nazione di esperienze, un mescolarsi di quadri , di rife rimento. E nel romanzo di Calvino è proprio questo pas saggio ,dalla vita alla letteratura che rende la storia <traslata, indiretta, allegorica, e spesso nel bel mezzo della rappresentazione più strampalata e fantastica emer ge ·di colpo l'emblematicità ·del ,reale. - Se permettete ,dico qualcosa anch'io. Così. Visto . che tutti se la dicono e se fa contano. Io vorrei osservare come sotto l'incalzare degli eventi affiori un mondo di valori simbolici. Ad esempio un personaggio femminile disegna ostriche · aperte col mollusco palpitante, ad un uomo vengono invece offerti dei piccoli coccodrilli... - Ti fermo subito. Tanto si sa bene dove vai a ca scare. Guarda che a questo genere di critica Calvino ha già dsposto col gustoso aneddoto dell'arricciaburro: «come ,se l'arricciaburro già determinasse il caratte�e è il destino di chi nel primo capitolo si presenta maneg giando un arricciab_µrro». Fammi ridere. - E se ce l'avesse sempre in mano, l'arricciaburro? Se il rimirarselo costituisse fonte d'interesse continuo · e rinnovato? Io volevo soltanto arrivare a concludere, se tu mi avessi lasciato parlare, che tutti quegli «io», \ 178
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