Il piccolo Hans - anno VII - n.26 - aprile-giugno 1980

Qualcosa che permane, che si ripete, che è identico a sé è il primo termine con cui abbiamo a che fare quan­ do parliamo di mutamento. Qualcosa del genere è asso­ ciato ai modi in cui i filosofi hanno parlato della sostan­ za e dei suoi accidenti. Vedete quindi come dio sia nel particolare; il grande, nel piccolo. « Guardate molto vi.­ cino», è :la massima per la condotta intellettuale che qui suggeriamo. Pensate appunto alla identità personale o alla carta d'identità o alla vostra storia. Pensate al vostro modo di vivere il tempo. Riflettete a semplici casi del tipo: rivedere una persona dopo molto tempo; guardare una fotografia di qualche anno fa. Allora si dice: « com'è cambiato! »; oppure: « è sempre lo stes­ so»; oppure: « non può essere lui!». S.2. Accade spesso che dove pensiamo di introdurre la differenza, siamo costretti alla ripetizione. Dove insi­ stiamo sulla variazione, siamo portati a osservare l'in­ varianza; dove, con Whitehead, ci interessa l'emergenza, siamo per l'elogio della permanenza. Io sono identico a · me in quanto posso ascrivere a questo permanere le variazioni. Se disponessi come su una pellicola cinematografica i miei stati, qualcuno mi dovrebbe assicurare che l'io di un fotogramma è lo stes­ so di un altro fotogramma. (Sembra che l'introduzio­ ne del cinema abbia creato parecchi problemi percet­ tivi in questo senso.) E provate per un attimo a riflet­ tere su una cosa · « grande» o lontana come la « società»: che cosa vuol dire che una società cambia? Dove cam­ bia? In che cosa cambia? Qual è il particolare che qui ci interessa? 5.3: Vorrei suggerire l'idea che l'identità o la ripetizio­ ne o la permanenza sono in certo senso risultati, esiti di costruzionv, perché sono sostanzialmente linguaggio. Voglio dire che c'è un gioco linguistico in cui usiamo 127

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