Il piccolo Hans - anno VII - n.25 - gennaio-marzo 1980

due ragioni innanzitutto. Perché occuparsi di teoria può rappresentare una compensazione gratificante a quella che è per ,l'analizzante la difficoltà della propria posi­ zione in analisi; può rappresentare una via di fuga, la speranza di mettersi a discutere con fanalista, di ap­ parire colto, intelligente, cioè di farsi vedere in un certo modo, o quella di andare a vedere come stanno le cose, trovare delle risposte a quella specie di oscurità in cui l'analizzante pensa di trovar.si aM'inizio della propria analisi. Ma 1a r,agione del , rimando di Freud alla propria analisi è anche un'altra. Possiamo cioè ceroare di leg­ gere in questa sua indicazione qualcosa di più di un consiglio all'analizzante o al futuro analista. Possiamo cogliervi l'indicazione di un metodo. Possiamo pensare che con quella frase Freud ci indica una stretta connes­ sione tra la tecnica con cui ,si svolge l'atto analitico, e la tecnica con cui la psicoanalisi può essere « acqui­ sita». Allora la scelta del tema di quest'anno, la partenza dall'esame dei casi clinici di Ereud, non è senza interes­ se. Prendere in esame un caso, e il modo con cui lo si prende in esame, diventa un'esemplificazione di come prendere in esame la teoria _psicoanalitica, di come ma­ neggiada, e anche, come dicevamo, di dove incominciare. C'è una regola, che citeremo più avanti durante la lezione, c'è una regola che il'analista enuncia durante i colloqui preliminari con il futuro analizzante, che si chia­ ma la regola fondamenta[e della psicoanaHsi. Essa con­ siste nel dire,« tutto, non importa che cosa», e nel dirlo così come viene alla mente, senza cambiamenti per quan­ to possano apparire insignificanti, e sempre, cioè anche quando questo « non importa che cosa » appaia partico­ larmente inutile, noioso, faticoso a dirsi. Anche qui, come vedete, affiora dunque il problema dell'inizio.. Da dove incomincio? 7

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