Il piccolo Hans - anno VII - n.25 - gennaio-marzo 1980
Abbiamo detto che l'equilibrio in cui si trova nel 1914 la storia ·del caso dell'« uomo dei lupi» è ancora, o di già, come Freud definirà la validità della tesi avan zata in L'uomo Mosè, un « equilibrio sulla punta di un piede solo ». Che è poi l'equilibrio del sapere. La questione del ·sapere in analisi si affaccia subito tra il dire assolutamente tutto quello che passa nella mente e dirlo esattamente nella stessa forma con cui nella mente si affa c cia, come enuncia la regola fonda mentale che l'analizzante si impegna ad osservare, e la sua crisi, per la quale · questo « tutto» di per sé già ab bastanza impossibile, non coindde affatto con quella che è la « totalità» di un proprio discorso, per esempio dire assolutamente tutto sulle proprie sensazioni, tradurre in parole un universo poetico, la rivelazione sincera di ogni propria perversione. Perché in tal caso il « dire tutto» viene a reggere •soltanto quello che abbiamo detto il sembiante di una « buona analisi», se si protrae trop po oltre l'inevitabile parata iniziale. D'altra parte, l'al tro aspetto del « dire» enunciato dalla regola non è meno precario, se ha a che fare con un dire « non im porta che cosa» al confronto del quale il sapere vacilla, perché questo qualche cosa non può essere scelto, ma certo non è mai nemmeno, in analisi, casuale, e non lo è per di più non nel senso banale che ogni cosa in analisi è altamente significativa, ma al contrario nella direzione, come vedremo, di un destino, che fa sì che un « non importa che cosa» che venisse sanzionato in tale banale accezione, costituirebbe una via di fuga per l'analizzante. Allora dobbiamo dire che si tratta di un non importa cosa, nello stesso senso che un qualche cosa, un non importa che cosa, è ciò che ha consentito quell'identificazione, la più importante tra le tre che Freud sottolinea (in Psicol9gia di massa e analisi del l'io), che è l'identificazione a un tratto, una voce, una tosse, una barba, di cui parlammo nel convegno dello 23
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