Il piccolo Hans - anno VII - n.25 - gennaio-marzo 1980

spazi consueti contribuiva ad accrescerne la lontananza; la spiaggia affoHata, il pubblico che soprattutto « stava i�sieme » e stava al mare, il palco - e l'illuminazione della notte marina, i sistemi di amplificazione, il con­ vergere automobHistico sulla litoranea, tutto - ciò, por­ tando · la poesia fuori dai suoi consueti spazi istituzio­ nali, ne aocresceva la natura mediata, quasi chiuden­ dola in un bozzolo che rendeva ,impossibile interrogada e confrontarsi con lei, e permetteva soltanto di ricono­ scerla come emblema di sé, vuoto ed astratto oggetto di produzione e consumo. La p · osizione proposta al -pubblico doveva invece reg­ gersi sulla più diretta immediatezza, sia nel senso delle attese suscitate che in quello dello spazio offerto. Le attese, per un pubblico che elettivamente e potenzial­ mentè- era fatto di poeti di massa, di comportamenti alternativi alla rice.rx: a di una proposta di sé, non pote.vano essere che quelle di una esplosione liberatoria, di una convergenza collettiva verso un'espressione auten­ tica, di una manifestazione nuda di ogni sotterraneo modo di essere. Lo spazio offerto conteneva tutti i con­ notati di abbandono ,al presente del luogo balneare: la spiaggia, il sole, il mare, i corpi nudi, le merci appro­ priate da consufllare, la possibilità di esporre se stessi, di sfiorare continuamente gli aJtri, di sovrapporsi a vicenda. Ogni gesto e ogni parola poteva sembrare nelle condizioni ottimali per mettersi in rapporto con la ripetizione di se stesso, per riavvolgersi nella propria identità attraverso lo specchio collettivo. Ma l'essere immediato nel luogo marino e -la spinta ad entrare in una comunicazione poetica come « riap­ propriazione » di identità e di diretta partecipazione presente non poteva che scontrarsi violentemente con i modi di comunicazione proposti dal palco poetico, luogo inevitabilmente deputato alla manifestazione della parola, alla sua teatralizzazione, e con la formalizzazione 168

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