Il piccolo Hans - anno VII - n.25 - gennaio-marzo 1980

alla Verità. Prendete il King Leat e troverete prova di quanto dico. Ma in quel quadro lo sgradevole non rag­ giunge nessuna profondità meditativa che faccia spro­ fondare il - disgusto che ispira. È un quadro più grande della «Deposizione». Il giorno dopo la vostra ,partenza ho · pranzato con Haydon, ed è stato molto piacevole.. Ho pranzato pure con Horace Smith (sono andato spesso fuori ultima­ mente), ,e ho conosciuto i suoi due fratelli; ho visto anche Hill e Kingston e · un certo Du Bois. È servito solo a convin c ermi che, per quanto concerne il diver.timento, l'umorismo conta più dello spirito. Questa gen­ te dice cose che possono far colpo, ma non toccano il sentimento. Sono tutti uguali, si comportano nello stes­ so modo, conoscono tutti le stesse persone alla moda, hanno lo stesso modo di bere e di mangiare, perfino di porgeve la caraffa. Parlavano di Kean e dell'ambiente a loro dire volgare che frequenta: potessi trovarmi in quell'ambiente anziché con voi, pensavo! Conoscenze di questo genere non fanno per me; eppure mercoledì an­ drò dai Reynolds. Brown ,e Dilke sono tornati •indietro con me dopo aver visto la pantomima di Natale. Ho avuto una discussione, anzi una conversazione con Dilke su va,ri argomenti; c'erano diverse cose che mi gira­ vano nella testa, e all'improvviso mi è parso di capire qual'è la qualità necessaria per riuscire un uomo di successo, specialmente in letteratura. Qualità che Sha­ kespeare possedette in sommo grado: voglio dire una capacità 1:2egativa, e cioè quando un uomo è capace di trovarsi nell'incertezza, nel dubbio, nel mistero senza protendersi con insofferenza verso la realtà e la ra­ gione. Coleridge ad esempio si 1ascerebbe sfuggire una bella e isolata parvenza di verità colta nei penetrali del mistero, perché incapace di accontentarsi di conoscere le cose a metà. Anche continuando per volumi, non si potrebbe dire più di questo: che in un grande poeta 140

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