Il piccolo Hans - VI - n. 24 - ottobre-dicembre 1979

si lascia comprendere solo a condizione ,di vedervi dentro un gioco di doppi la cui superficie speculare sarebbe il limite della loro «confusa intimità». E' evidente che, se una <troppo grande precisione di tratti poteva mettere in pericolo le oscillazioni della scrittll!ra, proprio per scongiurare questo pericolo il poeta inventa questa doppia fine dove il tutto e il nulla della apparizione rimangono le due possibilità di un'alterna­ tiva il cui pendolo oscillante dovrebbe bastare per neu- 1ralizzare la precisione e protegg�e così l'indetermina­ zione essenziale. Più che a voler dare una qualche formulazione della essenza della poetica mallarmeana, la nostra analisi mi­ rava a reperire proprio questo gioco di �< disposizione frammentaria, con alternanza e vis-à.ivis» 53 del poemetto. Se ci è capitato di giocare con le parole è perché il poema in prosa esige da parte del critico un'attitudine particolare fatta di osservazione e di illuminazione per cogliere ciò che fa del poema in prosa un poema critico: « Le fenditure del -testo, ci si tranquillizzi, tendono a concordare tra di loro, ,con un senso, e inscrivono spazi nudi solo fino ai loro punti di illuminazione: una forma, forse per caso, attuale, che permette, a ciò che fu per lungo tempo il poema in prosa e (al) la nostra ricerca, di com­ piersi - se si uniscono meglio le parole - come poema critico » 54 • Ci è anche accaduto di spingere oltre l'esplorazione, fino a scrutare la forma delle lettere in parole quali per esempio «yole». A questa si potrebbe aggiungere la parola «joli» («carino») che presenta, nell'alternanza dei ritmi ascendenti e discendenti, cavi ,e pieni, delle lettere, una raffigurazione condensata del poema, il quale infatti si dà come una cerca non della bellezza ma del suo vicinato, di ciò che le è vicino, mirabilmente espresso dalla forma e dal senso dell'aggettiV'O «joli». 118

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