Il piccolo Hans - VI - n. 23 - luglio-settembre 1979

stiche; ma Raffaele racconta di Cristo e molti si con­ vertono; piace questo profeta che predica il comuni­ smo; ma subito c'è chi capisce di più e diventa intol­ lerante; allora gli Utopiani sono costretti a _ metterlo a tacere. Il discorso non prosegue, ma la rottura del- 1'equilibrio è già totale. Ricostituire queste immagini in cui la classicità mostra il suo intuire la gratuità dei fondamenti ed il limite radicale del suo agire può es­ sere qualcosa, se non altro per far sorgere il sospetto che l'attore che si piazza in mezzo al palcoscenico ad urlare « questa è una commedia! fatemi parlare con l'autore!» forse è solo un guitto, e non necessariamente il più consapevole. Riproporre immagini di gente che conosce i nessi utopie-riforme ed è anche continua­ mente svegliata dal sonno pesante della religione del­ l'umanità: « L'ultimo atto è cruento, per quanto bella sia la commedia in tutto il resto: alla fine, ci gettano un po' di terra sulla testa, ed è finita per sempre» 5 • 8. Un po' di terra sulla testa è tutto il Futuro che Giuseppe conosce; teme Dio, ovviamente, ma il dono della profezia non ce l'ha; non ha il Significato, ma solo - il fastidio dell'interpretazione dei sogni. E' così eviden­ t·emente illuminista (ha perfino il suo bravo accenno di nazismo) che non merita neppure attenzione da parte di Horkheimer-Adorno. Tutta la sua superiorità la guadagna con l'ascesi, l'estraniazione, il sapere tec­ nico; e poi è anche servo; e piange di nascosto, mentre i fratelli strepitano in pubblico, loro che non sanno. Si tratta di vedere quanto crediamo di possedere ancora, noi, doni profetici e vacche grasse per poter assegnare a noi stessi la parte spiritosa e solo quella; la disponibilità a raccogliere altre immagini dell'illu­ minismo, dell'utopia, del sogno dipende da questo. E dalla reale accettazione di una storia minuscola, senza 154

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