Il piccolo Hans - VI - n. 23 - luglio-settembre 1979

troppo abituati agli urli e alle lacrime (che i romanzi inglesi settecenteschi già prendono in giro) per sentire il sottile ronzio del senso del limite, della disperazione a volte, nella scrittura illuministica. Del resto, l'imma­ gine dell'illuminista tutto d'un pezzo ha bisogno, per stare in piedi, che noi le iniettiamo una sicurezza nel progresso come destino inarrestabile e glorioso, sicu­ rezza che verrà solo dopo, e quasi una religione del­ l'umanità (come piena risoluzione di ogni contraddi­ zjone, compresa la morte) che l'illuminismo non cono­ sce. E' l'epoca che si scandalizza per la Bottega del falegname di Millais quella che ci ha insegnato schemi di ingenuo irenismo in cui collocare i tempi di Hogart. Se c'è una cosa da superare, è proprio il mid-cult della restaurazione romantica che ha inventato, appunto per affermarlo superato, l'illuminismo lucido e ben pasciuto e giovinetto. Ritradurre in termini post-romantici Thomas More che, in galera, dice al genero che non c'è da disperarsi tanto, perché la galera non è più lontana da Dio della propria casa, è falsificante. Eppure bisogna fare i conti con il fatto che una finta morte urlata ci fa più effetto di una vera morte accettata con calma esteriore. Hume, di fronte alla morte che sa imminente, scrive le lettere più umoristiche della sua vita; e dice sottotono anche la propria serenità: perfino una prostituta come Ninon de Lenclos era stata in grado dire che in fondo la­ sciamo solo dei morenti. Lo scacco è sempre presente, in questi ottimisti; nei Dialoghi sulla religione naturale Demea, il prete all'antica (ma portatore di una mo­ derna religione per poveri) ad un certo punto si stanca di aver sempre torto e se ne va dalla biblioteca; va dai suoi fedeli, e il deista e l'agnostico rimangono lì tra quattro libri a darsi un po' ragione e un po' torto. Qualcosa di analogo succede in Utopia dove si pratica un deismo al limite delle più rosee speranze illumini- 153

RkJQdWJsaXNoZXIy