Il piccolo Hans - VI - n. 23 - luglio-settembre 1979

gio positivo che sceglie questa strada, questa parte di miserabile medico dei sintomi. Altre stradt? Si legga la questione delle origini del vagabondaggio; tra le al­ tre, c'è là decadenza di tanti nobili, che sono costretti a licenziare i loro giannizzeri. More non dice affatto che per questo bisogna sostenere la nobiltà. Curare, e aprire altre piaghe; More ha troppo presenti le g101e del feudalesimo per preferire la via dell'arresto della storia, o di una retromarcia. Nel Libellus un doppio movimento porta dalla con­ tradditorietà delle riforme alla necessità di Utopia, e di qui indietro: dall'impossibilità di realizzare Utopia qui e subito alla necessità di agire con tutte le proprie forze nel possibile. Senza questo doppio movimento Utopia non ha senso, o ne ha troppi. Perché non è solo un modello da cui trarre ispirazione, né solo una speranza per il futuro, né solo lo specchio in cui si vede l'inevitabilità dei propri fallimenti, e non è in pieno nessuna di queste cose. Ha senso, ed un senso tragico, seppure trascritto in 1 serenità classica, solo il rapporto, i rapporti, e tutti i rapporti con Utopia. 7. Morton è tutto d'uno pezzo; More evidentemente no. Ci sono illuministi dei due tipi. La tragicità non ve la sbattono in faccia ma la posseggono. Visto che co­ munque l'illuminismo è stato sempre letto col senno di poi, vale la pena di leggerlo con il senno di prima (More, che, con il suo martirio, ci aiuta a capire che la sua serenità non è mediocre) e con quello di poi (Danton, Marat, Robespierre nelle letture più com­ plesse). Leggere i salotti illuministici come se fossero l'osteria del pavone o la foresta vandeana nel N ovan­ tatrè di Victor Hugo. E' artificioso, ma bisogna pur ricorrere a qualche clamoroso artificio che ci impedi­ sca di cadere continuamente nel loro trucco: la tradu­ zione in sorriso e in pacatezza di ogni tragedia. Siamo 152

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