Il piccolo Hans - VI - n. 23 - luglio-settembre 1979
di qualcosa che non c'è, e si dirà che la vita è sogno e il mondo è sogno di Dio e si racconterà la storia del re che sogna d'essere povero e del povero che sogna d'essere re: tutte cose interessanti che però si basano su una riipetizione sistematica del significato comune del termine «sogno». Un uso frequente nelle filosofie solipsistiche e nelle critiche fenomenistiche del senso comune, dove «sogno» è percezione strutturalmente identica alla veglia, diversa solo perché nel sogno si «ere.de » di essere, percepire, possedere quel che «in realtà» non si è, non si percepisce, non si possiede; e allora il sogno diventa prototipo del percepire quando di esso si vuol far notare la mancanza di relazione di mostrata con una «realtà » esterna; _ tutto questo qui non mi interessa perché qui conta il sogno in quanto ciò che implica risveglio; obbligatorietà del rendersi conto di sé e di qualcosa di diverso da sé). Se per utopia intendo un'organizzazione perfetta mente descritta come perfetta ed inesistente (sorvolando sul giudizio di realizzabilità, che varia troppo a se conda del «quando »), mi ritrovo con una definizione che vale ad indicare grosso modo alcune opere che sono state scritte secondo il modello dell'Utopia di · Thomas More. Uscire da questa genericità è rischioso, perché fuori dal genere letterario il ventaglio si allarga troppo: va da leggi impossibili effettivamente promul gate, a progetti di privati od associazioni che intra prendono la fondazione di una comunità radicalmente diversa come potrebbero aprire una qualsiasi bottega, a lodi del passato pastorale composte in odio dei tempi nuovi, etc. Se si guarda ai contenuti, insomma, si è subito costretti a tracciare linee di demarcazione ba sate su giudizi di valore, cosa attuabile secondo Man nheim 1 per il quale utopia è 1' 1 impossibile oggi che si realizzerà domani; attuabile, però, a patto che non si chieda di precisare esattamente se, per realizzazione, 146
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