Il piccolo Hans - VI - n. 23 - luglio-settembre 1979

aver sognato...', 'tuttavia in certe occasioni...': questi calmi resoconti di esperienze sono i falsi punti fermi di un racconto teorico che proprio su di essi vacilla, su quelle tracce di esperienze del tutto obbligate e 'subite'. Che questa sia la portata dell'esempio del sogno nelle meditazioni, è indubbio. Il modo netto in cui viene scartata dapprima la follia, e poi lo stesso sogno 'stravagante', come esempio iniziale di ' _ distur­ bo' rispetto alla coscienza di essere nella piena 'realtà', è indicativo. Sono appunto i modi più individuati e caratterizzati nella loro 'differenza', che vengono la­ sciati cadere. Non serve la follia, che 'mente' troppo · bene, che è troppo caratterizzata socialmente e lingui­ sticamente (cfr. « Il mercato comune della follia', in « Il piccolo Hans », n. 18), che in fondo 'dice di men­ tire' ed è nello stesso tempo ' indicibile' perché po­ trebbe sempre essere finta (e cioè, in questo caso, voluta e giocata dal soggetto). Non serve il sogno che da solo, per le sue chimere e le sue confusioni, si dichiari ' ·diverso' dalla veglia. Il sogno di Cartesio è il più semplice e insieme quindi quello in cui si smarrisce ogni possibilità di trovare un segno di irrealtà, da cui l'impossibilità anche del" 'segno di realtà' che resterà muto anche per Freud. E' il sogno di chi si accarezza il mento e si può anche dare il pizzicotto ma non sa se sogna o è desto. E' il sogno di 'questo momento'. Il sogno della realtà (e della presenza). Nell'incubo di questo sogno senza mostri, Cartesio costruisce il Cogito e il soggetto da esso. Costruisce e finge il suo 'reale' filosofico. Le querelles e le questioni principali della stermi­ nata bibliografia storico-filosofica su Cartesio sono mol­ to legate al tentativo di definire (tramite la filosofia, la comparazione, la logica, la biografia, etc...) i 'gradi' delle finzioni messe in scena nelle meditazioni. Se sia più 'potente' il diavoletto o il Dio ingannatore, se il 128

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