Il piccolo Hans - VI - n. 23 - luglio-settembre 1979

tipiche dell'errore nel resto dell'argomentare cartesiano, diventano qui l'unica garanzia perché _ si rintracci una eventuale 'differenza'. Dopo una riduzione accanita al pensare la concretezza astrattamente dal tempo, si ar­ riva addirittura a parlare di sogno e di veglia come di due tipi diversi di 'racconto', di film. E un seguito di sogni che ripresentassero costantemente certi per­ sonaggi e situazioni sarebbe lo scacco definitivo per la preoccupazione cartesiana di 'distinguere '. In questo senso, si può ribadire che l'indistinguibilità (apparente­ mente inaccettabile e da superare) tra sogno e realtà è il margine, testuale, fisico, biografico, di ogni atti­ vità cartesiana di pensiero. Al termine di una lunga meditazione, il tentativo di mettere ordine con paletti e cartelli lungo quel margine non può che confermarlo più netto; ai fini della questione del sogno, è come se non fosse successo nulla; tutto potrebbe ricominciare in questo punto come prima: « Ma ripensandoci, con maggior cura..., ricordo d'essere stato spesso inganna­ to... da illusioni di questo tipo... e vedo con tanta chia­ rezza che non ci sono indizi decisivi né marche abba- . stanza sicure tramite le quali si possa distinguere net­ tamente... ». In questo momento, non posso distinguere; anche adesso, proprio mentre ci penso, non posso; e neanc�e mi soccorrerà il domani: solo, se avverrà, potrà aiutare la 'rottura' della concatenazione discorsiva; non certo affidata al soggetto e praticabile da esso autonoma­ mente, ma anzi qualcosa che può esclusivamente 'suc­ cedergli'... nel tempo... Il margine da cui si partiva resta quindi ostinata­ mente ' marginale' e irriducibile, si sposta anch'esso fino alla fine (?) lungo il ragionamento, non supera­ bile in effetti dal'metodo', proprio perché non è 'ripor­ tato dentro' al metodo da vari tentativi o dal metodo stesso, ma dentro al metodo si annida lui senza esserne 126

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