Il piccolo Hans - anno VI - n. 22 - aprile-giugno 1979

1ettura alquanto superfi c iale di Saussure. Già da tempo gli studiosi (a cominciare ,da Wells, 1947. 8) hanno pr0- posto, del segno .saussuriano, una definizione che meglio ,si conforma all'uso J1egola11e che lo stesso Saussure fa del concetto: « ... a sign is neither a relation nor a com­ bination of .signifiant and of signifié, but the signifiant <itself> qua s±gnifiant » (Ib.) 4. La linguistica saussu­ riana fa dei' segni il suo oggetto primario nella mfaura in cui si concentra suHa batteria significante (« Worrds, wo11d�groups, and sentences are all signes�signifiants lin­ ked wi1:h signifiés » Ib.). Del resto, il privilegio accordato da iLacan alla con­ catenazione dei signifiants tiene conto delle difficoltà incontrate da una concezione puramente ,simmetrica dei due piani - che chiameremo, riferendoci alle categorie della glossematica, ,dell'espressione e del contenuto. Questa mancanza di :simmetria non oonsiste solo nella presenza della linearità dell'espressione, che contrasta con la sua assenza nel contenuto (Lamb 1966. 566). In realtà nessun ,semantico è finora riuscito (nemmeno Gr,eìmas, 1966) a compiere l'analisi semantica di tutto il 1essico di una lingua, anzi, è tuttora ignoto se ci siano entità minime disc11ete ,di contenuto - mentre i fonologi da tempo .sono riusciti a costituire deg,li inven­ tari chiusi dei fonemi (in numero molto limitato) di una lingua. L'asimmetria t:m i due piani (Martinet 1946. 39) fa cioè pensare che il contenuto ,sia il dominio del continuo, e non ,del .discreto (Lepschy 1968. XXXI), che esso cioè sia non analizzabile da parite del linguista. Del resto non bisogna dimenticare che la teoria saus­ suriana non è una teoria del ' langage (come cercherà di esserlo, invece, la linguistica chomskiana, a suo modo), bensì della langue come sistema di segni; è quindi innan­ zitutto una teoria ,del segno come signans qua signans (Wells, ib. 28-29). 64

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