Il piccolo Hans - anno VI - n. 22 - aprile-giugno 1979
essere fulsa che essendo falsai, cioè significando le cose come non sono. 2.24 Riassumiamo queste condusiioni che, malgrado · la loro astrart:tezza, non sono prive d'interesse: (a) Una proposizione ' X di significato p è vera simpliciter sse [se e solo se] è vera 1 e vera2. (b) Una proposiizione X di significato p è vera1 sse p. (e) Una proposizione X di signifioato p è vera2 sse _ q. Ma quando si tratta d'.interpretarre questi risultati, oi si scoDJtra con un ostacolo considerevole: �n effetti, tanto (b) dà una caratter , izzazione soddisfacente della v, erità1: una proposizione è vera se ciò che significa corrisponde, quanto (e) dà una ,caratterizzazione non soddisfacente della v-emtà2: dato che q = VX, (e) ritorna a questo: una proposizione è vera se è vera. Si ha qui un flagrante 'Circolo vizioso: la verità simpliciter d'una proposizione è definita daU'mrione della v , er:ità1 e dalla veriltà2; ma mentre la verità1 è definita in termini di adeguamento alla realtà, la verità2 è definita nei termini della verità simpliciter... Per uscire da questo cerchio, bisogna ritornare alla defiirnizione aristotelrioa, affrettatamente abbandonata. 2.31 Abb a ndonare la concezione aristotelica è, come dimostra ila sezione :pr,ecedente, privarsi di un solido punto d'appoggio, d'un'intuizione fondamentale senza il soccwso della quale il problema della verità ,diventa un en1grna. - Tuttavia non può essere questione di sacrificare a ques r ta definizione le proposizioni « inso lubili », nella foro esistenza o nella ·loro specificità, come fanno i cassantes ,e i restrigentes. Bisogna dunque, per 122
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