Il piccolo Hans - anno VI - n. 22 - aprile-giugno 1979

prima di criticada, è il caso di analizzarla più a fondo. 2.23 Per non lasciarci confondere dal carattere intui­ tivamente urtante della formula VX = p A VX, pon i amo VX = q, in modo che la formula diventa: VX = p A q. Una proposizione X di significato p è vera se pese . q. E' evidente che due condizioni, e non una sola, devono essere · soddi,sfatte pe:riché una proposizione sia vera: bisogna, da un canto, che le cose stiano come dice - o in un gergo più moderno: che ciò ch'essa dice (p) corrisponda, che essa « corrisponda aHa realtà». Ma questa condizione, necessaria, non è suffiderute: perché una proposizione 1 sia vera, bisogna, d'altro canto, che una seconda condizione sia soddisfatta (e cioè: che anche q corrisponda). Una proposi2Jione che corrisponde alla realtà non è dunque vera simpliciter: essa non è che quasi-vera, o vera a metà. Chiamiamo questa quasi-verità la veritài d'una proposizione 31 . L'equivalenza aristotelica definisce, non la ver.ità simpliciter, ma la verità1: V1X = p . 1 P , erché 'llD!a proposizione X vera1 1sia vera simpliciter, bisogna anche che sia vera2, vale a dire che 1a seconda condizione ,sia soddisfatta - che q corrisponda: V2X = q. Una proposizione vera 1 e vera 2 è v,era simpliciter: VX = (V 1 X A V 2 X) = (p A q). P, e:riché una proposizione sia vera simpliciter, bisogna che sia vera1 e vera2; al contrario, perché una proposi­ zione sia falsa simpliciter, basta che sia o non-vera1 ( = falsai) o non-vera2 ( = falsa2). La falsitài caratterizza le proposizioni autofalsificatrioi, che sono fal,se ,s , igni­ ficando che le cose stanno come sono, sono false essendo vere1 - perché sono false2. Ma le proposizioni non auto­ falsificatrici, se sono vere1, se ciò che significano corri­ sponde, allora sono vere simpliciter, per if.'impl�cazione p � VX, che vale per esse. Di ,conseguenza, una propo­ sizione non autofalsificatrice vera1 è automaticamente vera2: una proposizione non autofalsificatrice non può 121

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