Il piccolo Hans - anno VI - n. 22 - aprile-giugno 1979
tivo, che ci prorvoca alla prova della versatilità. Il ri gore starebbe nel fruiTe di nomi e descrizioni di cate gorie ne1l'adattaibiilità attinente e molteplice delle di stinzioni, per praticare questo linguaggio, come ogni al tro, producendo chiarezm interna e rapporti e intrecci funzionali. La rigidità si supera riconoscendo, per le ragioni dette, che non c'è enunciato o ordine d'enunciati che non sia anche performativo, che non possa es'Sere con siderato in un contesto pragmatico. ' La disti[lZione si scompone - ,se è !il caso: come ammette il rigore della versatilità - in una lettura che abbia attitudine a far emergere e a giocare quel più-1di-senso o gioco virtuale o profondo, quando non esplicito. Pos'Siede sempre li ceità e potere e condivide e pratica il gioco linguistico, in una qualunque situazione di racconto, una 'lettura che avverta una presenza narrante - non colui che, in prima o terza persona, parla nel racconto, ma colui che fa il racconto, che lo sta costruendo - e 1a indizi fa cendo emergere nel testo, nel cercare i simboli del- 1'opera e nel qualificarsi, un io che si nomina nel co niugare un verbo: dichiaro che, nego che, suppongo che, fingo che... Tanto più ha potere, questa lettura, quanto meno s'interroga su colui che scrive (nella vita) e su colui che è, quanto meno è chiamata a disporre l'elemento performativo in una competenza ostensiva. - Non è un contegno somigliante a quello del teatro? c'è da domandarsi che cosa s'aggiunge alle differenze quando colui che traocia l'azione entra in scena. - E si può anche congetturare una scrittura: tutto un ro manzo - con tutti i caratteri della sua situazione - che abbia palesato la struttura profonda, il verbo per foJ:1ID.ativo che l'introduce, e dipenda - supponiamo di leggerlo - da un « ho sempre pensato che... ». Non così, ma chissà quanti racconti, e - in quanti luoghi della loro sintassi narrativa; esplicitano coniugazioni del ge- 108
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