Il piccolo Hans - V - n. 20 - ottobre-dicembre 1978

.sbaglieranno: «infatti interpretavano queste parole in questo senso, che intorno a Salamina essi avrebbero dovuto rimaner sconfitti se si fossero apprestati a una battaglia navale». Ma Temistocle persuase gli Ateniesi che il vaticinio era, al contrario, favorevole: nel caso opposto il responso avrebbe dovuto suonare «o scia­ gurata Salamina», invece di «o divina Salamina». Gli eventi gli daranno ragione. Anche altrove, nelle Storie è questione, a proposito dei Greci, piuttosto di oracoli che di sogni. Ma la cosa non deve fare gran differenza, almeno secondo le cre­ denze dell'epoca. Gli uni e gli altri, gli oracoli e i so­ gni, ci rammenta Platone, nascevano dalla mania (onde, aggiunge, il termine mantica), uno «stato di delirio, da­ toci per dono divino» (Fedro, 244-245), che la testimo­ nianza degli antichi considera superiore al «senno che è proprio degli uomini». Ritornando più ampiamente sull'argomento, nel Ti­ meo (71-72), Platone atribuisce alla regione del fegato l'origine della divinazione, perché questa regione «non partecipa di ragione e saggezza... E vi è un segno suf­ ficiente che dio ha dato la divinazione alla stoltezza umana: perché nessuno che sia in possesso della ragione raggiunge una divinazione ispirata e verace, ma o quando nel sonno è impedita la facoltà dell'intelletto o quando ha perduto la ragione per malattia o per qualche furore divino». Ma ciò che appare negli stati di mania, va ri­ considerato alla luce diurna della ragione. «E perciò anche è legge di porre gli interpreti come giudici delle divinazioni ispirate: e alcuni li chiamano profeti, igno­ rando del tutto ch'essi sono interpreti delle parole e delle visioni enimmatiche, ma non profeti». Comune, dunque, l'origine, e comune il valore del linguaggio - parole e visioni enimmatiche - dei sogni e degli oracoli: un linguaggio che va «interpretato». A queste due forme della «divina mania» Platone (Ti- 73

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