Il piccolo Hans - V - n. 20 - ottobre-dicembre 1978
l'opinione pubblica e al parlamento»), fino all'estremo demonico. Così, riferendoli al campo della sacralità, s'intendono meglio anche stilemi che ne parrebbero estranei e che hanno perfino un certo tasso di « vol garità»: per esempio: « dare in pasto al pubblico» (si deplora che carte riservate vengano rese note dai gior nali etc). Più che un tratto di disprezzo elitario, vi leggo il richiamo a ciò che, essendo sacro e insieme tabù, non può venire svelato a chicchessia (ed è allo Stato, nella funzione paterna, che spetta il diritto/do vere di stabilire ciò che sia rivelabile). In tale linguaggio, sacrale e mortuario s'intrecciano spontaneamente (et pour cause). Nei vocaboli, nelle fi gure retoriche, direi perfino in un certo ritmo, il di scorso ufficiale di questi mesi ha offerto una partico lare elaborazione del lutto. Le famose pagine freudiane su « Lutto e melanconia» potrebbero suggerire qualche cosa, specie per quanto riguarda il succedersi di una fase disforica (melanconia) e di una euforica (mania). E' vero che qui manca il dato dell'autodenigrazione, che di solito copre lo sfogo dell'ambivalenza nei con fronti dell'oggetto perduto. Ma si noterà come questa scomparsa dell'oggetto (la sua morte) venga reiterata, sottolineata, orchestrata, anticipata irrimediabilmente nel linguaggio (« non è più lui», « praticamente già morto», « requiem per Moro» etc.) - che è poi quanto ha sdegnato Sciascia. Così dalla melanconia si spri giona, secondo un rapporto testimoniato dal linguag gio, un momento di eccesso, di scarica libidica: che è marcato dalla comparsa dei significanti « incrollabi lità», ·« tenuta», « sfida» eccetera e che culmina nel sintagma fatidico « senso dello Stato». Così il linguaggio, nato da particolari eventi, da particolari stati d'animo, e assunto via via, quasi per contagio ipnotico, da tutti i mezzi di comunicazione, si rivela esso stesso come un prodotto della mania. E' 182
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