Il piccolo Hans - V - n. 20 - ottobre-dicembre 1978

degli elementi «naturali», del Salgari del «ciclo del­ la giungla». Su questo impianto a tal punto tradizionale, Vol­ poni innesta la sua metafora fondamentale, che ri­ torna con varianti sin dal tempo dell'Albino Saluggia di Memoriale e dell'Anteo Crocioni de La macchina mondiale: personaggi che l'universo implacabile della. ragione produttivistica emargina, e, al limite, anni­ chila; ma che palesano, nella loro «diversità» la pre­ senza attiva di un'altra ragione, che per essere pro­ fondamente innestata sull'istinto di vita e sulla fan­ tasia, si potrebbe denominare «ragione vitale». E' la stessa, questa ragione, che rende al sommo grado impegnato nel rischioso equilibrio del suo movi­ mento il ranocchio che Volponi ha scelto per la coper­ tina del libro, gli enormi occhi spalancati verso la meta, il corpo rispondente alla volontà, gli arti salda­ mente avvinghiati al fragile sostegno del fuscello. Ma se, nelle opere precedenti, i rappresentanti di questa «ragione altra» si presentano come sconfitti, o sostenuti unicamente da una speranza proiettata in uno spazio o in un tempo ipotetico e non garantito (cfr. Il sipario ducale), qui, affrontate e superate le «prove», sono già al di là dei limiti in cui la prigione delle cose - quali si presentano nella realtà di oggi, o nella sua proiezione nel futuro immediato - li com­ prime sino alla distruzione. Questa inversione di segno non si verifica mediante una - impossibile - conciliazione, ma, al contrario, attraverso una radicale esasperazione del conflitto, ove la mitezza e fragilità dei Saluggia, dei Crocioni, dei Subissoni o delle Vivès de Il sipario ducale, trovi fi­ nalmente una trasposizione in positivo allorché un «capo», un «organizzatore», cui non faccia difetto la necessaria crudeltà e determinazione nel combatti- 174

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