Il piccolo Hans - V - n. 20 - ottobre-dicembre 1978

gnificante al significato in virtù di una similarità ef­ fettiva», il simbolo è un rimando «in virtù di una contiguità assegnata (' imputed '), convenzionale, abitua­ le» (p. 45). Formalizzazioni e tipologie sono sempre strumenti e prove di un serrato confronto col linguaggio in azio­ ne e, per quanto riguarda la triade delle modalità, producono in Jakobson come in Peirce, la persuasione che non vi corrisponda una divisione in tre «classi • rigorosamente distinte» e che non ci sia segno in cui il modo peculiare non si trovi unito agli altri due, «o almeno a uno dei due». Questo significa che non si può parlare di arbitrarietà in assoluto, neppure per i dati linguistici, come non si può negare agli indici e alle icone un grado di convenzionalità. Significa in particolare che l'ambito della ricerca e dell'argo­ mentazione è sempre costituito dalla materia dei modi di produzione e delle funzioni reperibili: anche all'in­ contro con l'arte. Così che la distanza che il discorso di Jakobson sul riferimento delle arti al segno man­ tiene, in modo così pacifico, da ogni deriva e memoria dell'idealismo può ancora sorprenderci, se la misu­ riamo dal territorio della nostra cultura. La sorpresa, se c'è, dovrebbe sostenere l'interesse per un ragiona­ mento, che qui vogliamo schematizzare, sull'«artificio» come fondamento della significanza estetica. L'arte rappresenta una quarta modalità. Si osserva come la triade di Peirce sia fondata da opposizioni binarie: contiguo/similare; effettivo/imposto (' imputed '). Se l'indice ha una contiguità effettiva, il simbolo ha una contiguità imposta. Ma l'icona ha una similarità ef­ fettiva, ed è quindi «prevedibile» che trovi il suo «correlativo» in una similarità imposta: questa è l'« artificio», il quale entra nel sistema delle modalità semiotiche e lo rende quaternario. Questa ricerca · nella struttura del segno poetico può 169

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