Il piccolo Hans - V - n. 19 - luglio-settembre 1978
Non si trovano agganci cui sospendere la causa del la presa di scrittura. Questa sembra combattuta fra un rimando figurato e un gelo che si qualifica come la forma inversa del desiderio della presa. La stessa parola di pre sa, con ciò che ha di autoritario, di potente, lascia esclu so il suo contrario: la sfuggita, la scrittura sfuggita alla sua stessa presa. Fra l'una e l'altra cosa scivola? Una ottusità. Quella di continuare a prendere la pa_rola, a volerla. E l'ottusità sarebbe proprio l'inversione per cui solo volendo si mette! in moto il filo con cui è presa alla fine non la sc6ttura ma la stessa volontà. Allora c'è il volente, in italiano il volitivo, tratto piuttosto ca ratteriale che estetico: c'è in fondo l'ottuso. Che è an che lo spuntato. Scrivere senza punta è il punto da cui parte lui. Gli ci vuole lo spunto. Una figura del volere o del voluto. Intorno si scava il vtLoto, quello che sta al discorso volu to. Però non c'è qualcosa che cominci. Forse il fatto è che bisogna solo finire; semmai da lì, dal rigore di un mantenimento protratto e rovesciato, incede un fatto di scrittura che si mantenga fra due. Fra desiderio della presa e ottuso volere, un farsi a misura di una intelligen za dello scritto che è tenuta - come una vasca tiene - tutta interna alla lettera. A' rebours e retroattivamente, già fatto o niente: « Ciò significa: si scrive solo se si rag giunge l'istante verso il quale, tuttavia, ci si può portare solo nello spazio aperto dall'impulso di scrivere. Per scri vere, bisogna già scrivere. In questa contrapposizione de vono essere posti anche l'essenza della scrittura, la diffi colta dell'esperienza e il salto dell'ispirazione» (Maurice Blanchot, « Lo sguardo di Orfeo»). E.K. 120
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