Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978

della nostra « logo.fobia », e che certo premono anche ai margini del volume e della · lettura di questa poesia. Nel parlarne - come già in altre occasioni - mi col­ loco oltre i moduli e la storia dell'�< impegno » e della sua letteratura. Parlo infatti di una massa d'eventi lin­ guistici, di gesti, di cose nominate e non nominate, massa e brusio ammessi e scongiurati continuamente da vari ordini e poteri della socialità, del sistema. Un linguaggio - materia, corpo di linguaggio - che non riesce a prendere forma? Un linguaggio sottratto, ru­ bato? Certo quello che vorrei ascoltare e raccontare sta e preme anche oltre le figure teoriche, l'azione e la storia dell'avanguardia, oltre l'intelligenza e la critica - come carattere e sapere - con cui l'avanguardia adempie l'impegno e per cui è sovversione del discorso: quel linguaggio interdetto e rubato . non si rapprende nep­ pure nel modo di formare delle avanguardie, nella vir­ tualità o nell'atto di quel modo di formare come tra­ sgressione, eversione. Bisogna guardare anche oltre il rifiuto di « installarsi in un linguaggio che ha già tanto parlato», oltre il rifiuto in cui si risolve l'impegno del­ l'avanguardia, oltre . la stessa dialettica per cui l'avan­ guardia produce la propria « conversione» nell'ordine e nel sistema, impone e istituisce (nel sistema sovvertito e adeguato) il proprio superamento, in nuova inven­ zione e sovversione di strutture, e produce anche, in w1 ordine della scompaginazione, la « manfora delle avan­ guardie» 2 • Neppure in questa astuzia e dialettica · delle avan­ guardie si impone ed emerge quel brusio continuo: non si dà liberazione, né vi ha luogo riconoscimento del linguaggio e del silenzio che premono contro il potere endemico, sistematico della logofobia. Anzi, quella smen­ tita che cadeva nelle parole e nella persuasione di una poesia operaia, la figura e il gesto lineari di un atto 80

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