Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978
Perkin Warbeck, tutto centrato sulla possibilità-minac cia ,del sosia del Re, o nel King Lear stesso, dove Lear vorrebbe appunto che la sua regalità coincidesse con la sua animalità di corpo di Rie: «ay, every inch a king ,, (sì, un r, e in ogni dramma del corpo): sì che nessuc10 possa riprodurla quella regalità, :pensarla cioè come una forma. Terrore e minaccia della riproducibilità che sostiene quelil'an:siosa problematica meditazione sul na tural versus artificial, realtà versus apparenza, essere versus apparire: storia cioè di un corpo contro una forma. Sì che Amleto disperatamente si chiede se non si sia già aperta la civiltà moderna ovvero - come dice Gogol - «il regno spaventoso delle paro1e al posto dei fatti». O se la parola non sia ormai non più pa rola-autorità (la parola-icona di Lotman, immagine del contenuto, parola-corpo), ma modello di menzogna. Quel- 1'ordine simbolico forte, di segni sicuri che fu il me dioevo, ,quella gerarchia fieroce e crudele dei segni che è la corte di Danimarca («Dernnark is a prison»), è con la meditazione di Amleto completamente finito. Ci si muove ormai verso una domanda di verità (Lear, Amleto, i Re Fools) che lacerando quella intimità tra parola e cosa, mostra una divaricazione in essa. Dove portatore di verità sarà il bambino o il selvag gio - il fool, per l'appunto, innocente e astuto, selva tico, e rozzo, e insieme «sofisticatissimo» per ironia. Selvaggio, o bambino, né dentro, né fuori: esseri posti al limite del «sociale». Così come il fool in questi drammi di cui ho parlato, si colloca in una regione incerta, o che rende incerta la partizione dentro-fuori della ragione. Con questo non è che avrei finito. Ma finisco. Solo un'ultima foolishness, mi sia concessa. Se è vero che il fool è il jolly, la carta vuota, il si gnificante fluttuante, valore zero, la cantonata del fool- 60
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