Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978
di esistere in forme autonome, caratterizzanti. Si sa dov, e trovarlo, lo si può prendere e lasciare quando si voglia come un oggetto familiare: appunto è un oggetto, una cosa, una definizione o addirittura una condanna, non un bordo, un confine sottile do.ve la scrittura vacilla; è la parte che cade al di là del taglio di separazione, non l'«immaginario» di questo stesso taglio. A parte la resa letteraria modesta, la lettura di questa prima versione ·serve come propedeutica, sgombra preliminarmente il terreno da certe questioni. 4. ·« iL'Horla» - d'ora in poi, salvo indicazione espli cita in contrario ci si riferirà sempre alla versione major -, ha la forma 1 del diario, notificando nell'as sunzione di questa struttura l'intento - e si tratti pure di una vecchia convenzione letteraria - di parlare in presa diretta, di supporre la narrazione contemporanea all'evento. Presunzione e artificio, alquanto ingenuo, di «sincerità», «autenticità», «immediatezza»? certo ed è facile scoprirne il lato debole. Ma intanto, anche, ri fiuto del racconto come distribuzione a priori delle parti. subordinazione di ogni discorso a una funzione dichia rata in partenza, come accadeva appunto nella versione precedente. Un primo effetto ne viene all'atto di nar razione messa nella penna del diarista: questo atto, che era fortemente perlocutivo nel primo «Horla», atto di un soggetto chiamato a difendersi, a persuadere, a supplicare davanti a un tribunale (il tribunale del sa pere , e della ragione); diventa un atto locutivo che, almeno nella situazione iniziale, non si rivolge a nes suno. Semmai, il discorso si dirige a se stesso, si ri chiude ad anello sulla ;propria enunciazione, come gesto di autosufficienza, di autocertificazione. Il discorso è se stesso, riposa e si sostiene su di sé. Il testo · si apre con una frase esclamativa: «Che 33
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