Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978

La grammatica dell'altro 1. Questa microcomunicazione cerca di vedere - posto che sia fattibile -, attraverso quali forme: strutture narrative, sintattiche, scelte linguistiche, si manifesti il discorso della follia dentro il discorso letterario che per comodità chiamerò normale. Essa parte quindi dalla do­ manda: ci sono delle connotazioni rilevabili e classifi­ cabili che indichino, a livello dei significanti e della loro organizzazione, la comparsa della follia, il momento in cui la follia comincia a parlarsi? Oppure ogni indicazione di questo tipo rimane delegata ai si,gnificati, aUe infor­ mazioni - fornite dalla «fabula», dalle sue circostanze psicologiche? Per dirla rozzamente: basterà l'introduzione di un cartellino segnal , etico a carico di un personaggio o dell'autore stesso, per garantire un'adeguata recezione del discorso relativo come discorso «della follia» (non sulla follia)? Proposta in questo modo la domanda è francamente grossolana e, peggio, pericolosa, facendo na­ scere l'idea di un mimetismo esterno del linguaggio. La scrittura s'intendevebbe come qualche cosa che si sovrappone, si applica a un dato (nel caso: lo stato di pazzia) e su questo, e secondo questo, si modella, in funzione alla fine sU!bordinata. In l'.'ealtà è all'interno del discorso della scrittura che si colloca l'opposizione fra ragione e follia. Quindi si tratta della peculiarità 27

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