Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978
vi troviamo, come carattere distintivo, proprio una sorta di composizione di elementi su una scena disancorata dalla sua necessità interna, pura esposizione del mate riale manifiesto, come dice Freud. Quello che emerge è una varietà di toni, di livelli di codici, di scelte reto riche ma legate insieme da una forzosa contestualità in definitiva muta. L'automatismo dell'operazione risalta al meno per un tratto caratteristico: questi testi sono come una sequenza che si può tagliare dove si vuole e la loro dinamica compositiva piuttosto che a uno stile rimanda a una macchina. La lingua si appiattisce in un campo di lavorazione sperimentale - e non si vogliono negare i risultati anche notevoli talora conseguiti, tuttavia questo macchinistico non avere né capo né coda, se ha il van taggio di non rimandare pesantemente a una psicologia, ha però il grave effetto di opacizzare il campo in cui il significante si articola con il soggetto nella lingua. Lo scritto formalistico si ·dà come un sintomo vacuo per rimandare, come dicevo, alla sintomatologia della operazione ma fuori ormai dallo scritto. Se invece qualcosa fa appello nello scrivere della follia è proprio la dimensione della tenuta interna del linguaggio che come tale pone al soggetto la questione del suo essere come essere parlante, e dunque chiede che la follia di scrivere - come diceva Lacan a propo sito di Sade - si metta in regola con i propri desideri. Se il semplice gioco combinatorio sul piano del testo è privo di senso esattamente come il sogno manifesto - la lettera di Freud è di una chiarezza decisiva -, la scrittura allora è riportata alla sua significazione del soggetto, alla logica che ne svela la significazione. Non perché essa sia riferita al mittente o trattenuta dal de stinatario - lettore o scrittore - ma perché la catena significante attraverso la significazione si chiuda sulla propria necessità. In questo senso la liberazione psichìca di cui parla 19
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