Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978
di negativizzazione. Il sociale, l'ordine simbolico in quanto tale, diventando il sintomo di questa produzione, non ha lesinato 1e sue risposte: dal recupero dei codici più diversi fino al grado estremo del suo vacuo presen tirficarsi come pura stupidità. Ciò che Barthes anticipava così era il progressivo oggettivarsi della scrittura per farsi cosa, specchio del deterioramento del simbolico nel tessuto sociale. Per questa via « la scrittura» sembrava votata a una alienazione formalistica: il suo grado zero avrebbe cer cato uno sti1e dell'assenza, quasi un'assenza ideale di stile. La questione è come sia possibile per una scrittura programmaticamente senza stile rinnovare l'aggancio con quella passione del significante che tiene il soggetto al linguaggio. Di fatto quelle « scritture» non mancarono di trovare un loro fasto verbale, un dispendio e una disseminazione, dove l'operazione soggettiva di scrittura per essere tale non poteva mancare di stile sia pure a un limite azzerato. Dal neutro della scrittura di nuovo alla questione dello stile, salvo l'arresto del formalismo. Con il che non si intende l'autorie ricondotto a se stesso per la natura biologica del suo stile. Infatti se « lo stile è l'uomo», il suo reciproco non è vero. « Lo stile è la cosa», diceva De Sanctis. E possiamo ancora dirlo se la fantasia è prodotta proprio con gli stessì spostamenti con cui è prodotto il suo scriversi: quelli del linguaggio. Lo stile è la trnccia di un s1gni ficante non per un soggetto ma per un altro significante. E' cioè questione di singolarità nel senso dell'uno, di quel tratto unario che Lacan situa come forma iniziale di ogni scrittura, a livello del nome proprio. Il soggetto è infatti ciò che si chiama e chiamarsi è prima di tutto qualcosa che ha a che fare con la lettura di un tratto. La questione dello stile non a caso è una questione annosa, anche solo a guardare al contenutismo in De 16
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