Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978

tempo, a mio avviso, chiude qualcosa della dinamica dell'elaborazione freudiana attraverso una sorta di mec­ canismo che fonda '1'inconscio su una serie di relazioni intersoggettive, storicamente, geneticamente situabili tra un padre, una madre e un .figlio. Il secondo testo, di G. Pommier, che lavora con noi a Parigi e che qui, a iproposito della confusione tra istinto e pulsione, tenta di articolare la pulsione al lin­ guaggio, dà un suono tutto diverso: « Il semplice ri­ flesso di suzione che si può osservare alla nascita fa problema: in primo luogo esistono bambini che fin dalla nascita rifiutano il seno, senza che intervengano cause organiche, e non è infrequente che dopo qualche colloquio con la madre, lo stesso neonato accetti il seno. In secondo luogo, si osserva correntemente che ciò che spinge alla suzione non ha niente a che vedere con qual­ che eventuale bisogno da soddisfare; che abbia fame o no, il bambino si succhia il pollice. Si può forse trac­ ciare così una prima demarcazione tra pulsione e i1stinto, istinto nel senso di condotta innata della quale non si vede la minima traccia nell'essere-parlante? Che il bam­ bino pianga o taccia, chi, se non la madre, interpreta il pianto o il silenzio come una domanda? Se c'è una domanda di soddisfazione di un bisogno - e questo non si può sapere, ma solo interpretare - non esiste nessuna possibile verifica della significazione attribuita dalla madre al bambino: che cosa vuole? Gli manca qualcosa, e la sua mancanza non può che essere deco­ dificata in funzione delle mancanze della madre, no­ minate in rapporto alla stessa mancanza a essere di lei. Ogni risposta al silenzio o al pianto non rè altro che puro fatto linguistico. !Designando l'oggetto di una do­ manda, interpretata come tale, -èl il funzionamento della pulsione che si indica. Ogni pulsione è parziale rispetto al desiderio di completezza, non del bambino, ma dei genitori per il bambino. E perché puro fatto lingui. 147

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