Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978

nero. L'invulneraibilità di Rodomonte cade insieme alla sua follia, la pretesa baibelica che in un mondo tutto di differenze il linguaggio sia uno, mentre Orlando assume come impresa il segno .di questa differenza, la trasgres­ sione punita. Qualche cosa cade quindi tra i due termini di questo scambio, che vede Orlando diventare Rodomonte con qualche cosa in più, e Rodomonte trasformarsi in Orl an­ do con qualche cosa in meno: l'impresa sullo scudo e la scrittura del poema, che con la morte di Rodomonte finisce. E questo Ìni rimanda al partner della follia del testo, Ariosto. In un certo senso Ariosto fa sue l'impresa di Rodo­ monte e quella di Odando inscrivendole nel margine del Hbro: tra i due margini raddoppiati che esse sono, il libro è! l'impresa di Ariosto e la sua scrittura la follia, come quella che, letta, ha reso folle Orlando, identica a se stessa e al tempo stesso non repetiibile, come la lingua di Babele. Scrivere allora è farsi traccia pas­ sando attraverso un'aggiunta ohe è una sottrazione. Ma c'è ancora un'altra impresa tra queste, quella che adorna le prime edizioni dell'Orlando Furioso: l'im­ presa dell'Ariosto, che molti hanno cercato di interpre­ tare e che rimane peraltro, nella sua semplicità, mi­ steriosa. E' un nido, un alveare dal quale un contadino scaccia col fumo le api per impadronirsi del miele: il motto che la accompagna è PRO BONO MALUM, lo stesso che chiude l'edizione del 1532, quella definitiva del poema. La stessa impresa che Ariosto inserisce nel poema per poi toglierla, spost·andola di nuovo ai margini del libro - essa è nei Cinque Canti (V, 46) l'impresa di Rinaldo, il quale, tradito dal suo signore Carlo, ri­ vendica con essa il suo diritto a servirlo e ad esserne ricompensato; ma quando Bradamante, dopo tutte le attese della sua vicenda d'amore, vede ancora una volta 132

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