Il piccolo Hans - anno V - n. 17 - gennaio-marzo 1978

per non dire rivelazione, mi è parsa occultare tutta la la portata della scoperta lacaniana. Non si è mancato di rilevare che si tratta nel caso di parn doble, ma senza uscire dalle movenze di balletto che gli esercizi proposti, le variazioni sul tema conservavano. Ciò che avrei voluto dire e che lascio ora al tradut­ tore di articolare in altra lingua è che il processo della passe non si esaurisce nelle competenze giuridiche del passant, del passeur e del juri d'agrément e nemmeno nella descrizione fenomenologica dei loro Erlebnisse più o meno autentici. La passe non ha niente a che fare con i témoignages (chrétiens) da anima bella, né con gli scrupoli rassicuratori della coscienziosità, altra fi­ gura hegeliana: essa rileva della logica, e in particolare della logica collettiva che, senza più nominarla, Lacan non ha cessato di elaborare da prima del «tempo lo­ gico». Il sospetto che sia un'«invenzione» viene a non con­ siderare che le forme in cui è stata regolamentata e che richiamano un po' le pesate della «forme de la suspi­ cion ambigue» di un lontano scritto di Lacan o più ba­ nalmente un test da affrontare senza conoscerne non solo i criteri di valutazione ma nemmeno la batteria. L'ambiguità si dissolve qualora non si passi sopra l'an­ tecedente logico della passe che è la testimonianza che l'analista rende della psicoanalisi nei confronti della collettivit� in cui opera. Vi sono due movimenti, di cui quello che va dal passant al passeur al ]uri d'Agrément raddoppia ,e riprende quello che dallo stesso analista va allo psicoanalizzante che gli si affida e al milieu sociale. Basta accettare la domanda di qualcuno che sia già passato per l'esperienza di un'analisi per rendersi con­ to di quanto «pesi» il porsi dell'analista come oggetto privo di immagine speculare. Egli attualizza in ogni analisi l'intera scoperta di Freud, ma niente assicura che 7

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