Il piccolo Hans - anno V - n. 17 - gennaio-marzo 1978

Il tema della vendetta, nondimeno, può essere accet­ tato dallo psicoanalista come una « parola piena», per­ ché è un fenomeno abbastanza universale perché lo si possa considerare come specifico dell'umanità. Non cre­ do, in realtà che le rivalità o le lotte per la supremazia che si riscontrano negli animali, possano in alcun modo essere identificate con la vendetta, senza dar prova di uno sterile partito preso antropomorfico. Invece, la ven­ detta mette in gioco proprio l'uomo nella sua specifi­ cità; in certi casi, infatti, vendicarsi è una questione d'onore, chi non si vendica 1 « non è un uomo»; mentre in altri casi, al contrario, la vendetta viene considerata un sentimento basso, un atto riprovevole al quale « un uomo non deve cedere». Ci interessa dunque la vendetta, perché chiama in causa qualcosa di proprio all'istanza morale, o meglio al «super-io»; giacché l'obbligo morale può chiaramen­ te giocare, secondo il contesto culturale, nei sensi più diversi e anche opposti. Non mi arrischierò qui ad avan­ zare una teoria del super-io: ma non eviterò il proble­ ma dell'articolazione - tra le esigenze del super-io e quelle dell'ordine sociale. E' una cosa di cui gli psicoanalisti non parlano affatto, un po' troppo inclini come sono a dimenticare che anch'essi hanno un super-io. L'ingiuria e la sua ritorsione. All'origine della vendetta, c'è il danno che una per­ sona subisce per una azione altrui, più o merio volon­ taria. Per quanto riguarda l'aspetto puramente mate­ riale di questo danno, è evidente che la vendetta non è il mezzo più efficace per risarcire il danno subito; l'ag­ gredito, almeno nella maggior parte dei casi, avrebbe più interesse a comportarsi a sua volta come aggres­ sore, o predatore, nei confronti di chicchessia, più de- 29

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