Il piccolo Hans - anno V - n. 17 - gennaio-marzo 1978
L'Altro funge in Lacan, a mio avviso, come inve ramento di Marx. Non è una parola magica, o mitica, approdo di una ricerca dell'assoluto, ma un termine che si risolve in proposizioni negative. Esso definisce ciò che non c'è: che non c'è progresso (maturazione sessuale, sviluppo o transizione finaL12:za:ti, in breve « genitalità e cultura»), che non c'è tutto (qualcosa come una personalità, concrezione paranoica, un mondo o una visione del mondo, totalità idealistiche) in quanto non c'è rapporto sessuale, cioè fusione nell'Uno che non si dia come fissurato (l'uno della coppia armonica, l'uno della coalescenza di una massa affascinata da un capo, l'uno del gruppo parassitato dalla «comunità» dei fratelli). Quando Lacan parla dell'Uno lo fa impie gando l'espressione limitativa •«c'è dell'uno» e si ri ferisce sempre , solo al significante che la psicoanalisi ha il compito di riconoscere e far riconoscere per an nullare gli effetti di cattura identificatoria e per scio gliere, in definitiva, il nodo di servitù che lega l'ipno tizzato all'ipnotizzatore. Niente mito dell'Altro salvo forse per quel «mar xista» di un aneddoto che Lacan racconta nel suo seminario del 1972 al quale stava particolarmente a cuore di salvare il «rapporto» {non di produzione, nel caso specifico, ma di copulazione). Riprendendone la perplessità, Lacan osserva che «l'inquietudine era questa: l'Altro era quel ·terzo che, ad avanzarlo nel rapporto della coppia, lui, il marxista, non poteva iden tificarlo che a Dio». Che non esista armonia sessuale capace di cancellare le differenze dei sessi e le sue conseguenze psichiche è quanto l'elemento terzo del simbolico viene a insinuare. Fino a spingersi a dimo strare che crederci, nella fornariana «perfetta recipro cità simmetrica del rapporto genitale», non è che un altro modo di credere in Dio; all'occasione sotto le ,spe- 25
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