Il piccolo Hans - anno V - n. 17 - gennaio-marzo 1978
La mia impressione è che il malinteso intorno a Lacan dipenda anche dalla sorte frettolosa fatta in Ita lia allo strutturalismo mediante la distinzione proposta da Eco di uno strutturalismo metodologico e di uno strutturalismo ontologico, dove a salvare il primo si è dato libero corso a tutti i montaggi e smontaggi del tecnicismo semiologico e in più al privilegiamento, sem pre con gli utensili dell'officina semiologica, della cri tica dell'ideologia. Dove il rischio è che questo simbo lico demetafisicizzato, tecnicistico e discorsivo, si pre sti all'opera di razionalizzazione capitalistica col mettere al posto di comando, rispetto all'economia della causa lità psichica e storica, una politica dell'arbitrarietà e linearità del segno, funzionale a una gestione territoriale della follia e del sintomo, cioè del disagio nella civiltà. E' a: partire dal nesso dimenticato che lega, in La can, il simbolico al reale, l'impossibile che si incarna nel soggetto in analisi rivelando il carattere allucina torio di ciò che è fatto passare per realtà, eventual mente sociale, che mi sentirei di avanzare la tesi se guente: l'interlocutore latente di Lacan è il marxista. Non lo ,strutturalista, che integra il linguaggio alla se miologia, e non il mitologo se il mito è « il tentativo di dare forma epica a ciò che si opera dagli ,effetti della struttura» (Télevision, Editions du Seui! 1973) con il risultato di occultare la divisione del soggetto e il di namismo dell'inconscio con le ovvietà sulla repressione, è la divisione di classe con l'ipostatizzazione del Pa lazzo, il ,P;otere a cui non si chiede che di abbassarsi al livello dell'ultimo degli operatori sociali, di parteci parsi insomma, rifondandosi democraticamente. Niente « mito dell'Altro» quindi in Lacan, ma piuttosto l'al tro del mito, un rovesciamento che attraverso la messa in questione dell'Altro giunge analiticamente a trasfor mare il problema della struttura in una interrogazione sul marxismo. 24
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