Il piccolo Hans - IV - n. 16 - ottobre-dicembre 1977
versi finali ristabiliscono trionfalmente e, data la situa zione, con valore di conferma, quel modulo ternario che si è considerato costitutivo del discorso (atti, modi, parole; splendor, dolcezza e grazia). Appena più avanti nel canzoniere, al sonetto XXVIII (« Quando innanzi ai begli occhi almi e lucenti») si troverà addirittura la · meditazione sul modo di formarsi del discorso, sui suoi inciampi e, in ultima ipotesi, sulla sua impronunciabilità (Basta ch'io non so mai formar parola, / sì quel fatale e mio divino aspetto / la forza insieme e l'anima m'invola): caso limite in cui « parlare amore» è non poter parlare. 6 - La lettura di questi testi, diretta a provare una certa ipotesi, ha accertato nello stesso tempo che essi presentano un non trascurabile tasso d'ambiguità. Vo glio dire che il « discorso che enuncia se stesso» è fa sciato dalla continua urgenza di una attualità emozio nale. I significanti sui quali esso lavora non possono mai venire separati completamente dal serbatoio di im pulsi e passioni che li generano. In ciascuna di queste poesie la realtà di fondo (realtà di testo) si scherma di una realtà fenomenica, immediata. Si determinano così due piani di senso o meglio di ricezione, spesso in trallacciati; ciò non mi sembra in contrasto con quanto sostenuto · finora. I due piani scorrono l'uno sull'altro, quello che chiamerei della fisiologia amorosa, dell'acci dentalità, ossia esistenziale facendo da tegumento a quel lo del dire, della grammatica articolatrice, ossia sim bolico. Subito un'esemplificazione la somministra la se quenza leopardiana citata più sopra: « e qui per terra / mi getto e grido e . fremo». La sua comparsa verso la metà della « Sera del dì di festa» indica l'affiorare del livello immediatamente esistenziale sul livello del dire, e non solo per la qualità aspramente e scopertamente psicologica, ma proprio per le peculiarità linguistico- 92
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