Il piccolo Hans - IV - n. 16 - ottobre-dicembre 1977
sia, m ultima istanza, il fallo. Ma: «non esiste imma gine o testo del fallo» 2 • L'oggetto si . sottrae continua mente, per sua stessa natura, al testo del discorso amo roso; nella finzione di dire il proprio oggetto, il di scorso non produce altro che immaginario, il quale, appunto come il ramoscello buttato nella miniera, gem ma su se stesso. Gli innumerevoli discorsi d'amore, a qualsiasi livello: speculativo, ideologico, letterario, esi stenziale (ma sì: anche: «io t'amo») non segnano l'in contro con un argumentum ossia con un oggetto, ma non fanno altro che immaginare se stessi ossia rispec chiare la propria attività locutoria: essi insomma par lano amorosamente, parlano l'amore appunto in quanto rimanga totalmente perduto e lontano come oggetto. Basterebbe prendere il più famoso dei discorsi sull'a more (o would be tale...), vale a dire il Simposio plato nico, per riconoscervi che l'oggetto, continuamente sup posto, vi è continuamente cassato o meglio irraggiun gibile; anche il discorso amoroso del Simposio va aper to, come dice Alcibiade a proposito di Socrate, chia mando in causa quelle statuette di satiri e sileni che possono spalancarsi in due; ma per . trovarvi dentro nient'altro che questo' stesso discorso. Un'approssimativa formalizzazione di ciò che accade può essere tentata così: dove S1, S2, S3 etc. rappresentino 1a combinazione dei significanti che costituiscono il discorso amoroso (D), il quale ha come suo oggetto finale il fallo (<I>). Per ef fetto del raggiungimento del suo oggetto, il discorso viene per dir così «realizzato» nel fallo (<I>(D)). Ma se si suppone che l'oggetto vada cancellato perché irrag giungibile, ciò che ne risulta sarà: 81
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